Facebook ed il diritto italiano


 

Scritto in data 04 febbraio 2009

Di Facebook ormai si sente parlare per cose belle e positive, come fenomeno sociale, ma anche per diritti in pericolo, di profilazioni facili ed occulte, di violazioni presunte della privacy (vedi la conservazione dei dati quando un’utente si cancella) e anche di diritti d’autore.

Riguardo al diritto d’autore, leggendo le condizioni di iscrizione ed utilizzo consultabili sulla pagina di accesso ed iscrizione:
https://login.facebook.com/login.php
cliccando sul link in fondo alla pagina si apre una traduzione dall’inglese fatta malissimo e che senz’altro trae in inganno:http://www.facebook.com/terms.php?ref=pf .
Sono le clausole del ‘contratto’ che si accettano quando ci si iscrive e che nel testo originale in inglese recitano:
http://www.facebook.com/terms.php?locale=en_US

Estrapolando la parte che ci interessa si legge che:

“User Content Posted on the Site.
…omississ…
By posting User Content to any part of the Site, you automatically grant,
and you represent and warrant that you have the right to grant, to the
Company an irrevocable, perpetual, non-exclusive, transferable, fully paid,
worldwide license (with the right to sublicense) to use, copy, publicly
perform, publicly display, reformat, translate, excerpt (in whole or in
part) and distribute such User Content for any pur
…omississ….”

Il significato di queste clausole è che molti autori come fotografi, altri artisti di arti visive, ma anche musicisti-compositori e coloro che ci mettono i loro testi, dovrebbero automaticamente cedere tutti i diritti … (In Italia comunque quelli morali rimangono in capo all’autore); oltre a garantire che ciò che viene postato, pur non essendo loro, è comunque libero da diritti altrui.

Sono clausole che nascono in paesi diversi, per cultura e diritto, dall’Italia.

Infatti come giustamente osserva in proposito Lorenzo Dina:
-in Italia secondo la LDA per regolare certi aspetti è necessaria la ‘prova scritta’, mentre l’accesso a facebook è tutto ‘informatico’, basta l’accettazione con un click, anche doppio, a superare la riserva scritta?
-altro aspetto importante sono le presunte clausole vessatorie e la loro modalità di approvazione, anche questa è sufficiente in Italia?

Ad entrambe le domande la risposta più ovvia è no, anche se sono oggetto di discussione.

Se a questo si aggiunge la condivisibile opinione di Luca de Grazia, cioè che comunque, una volta iscritti a Facebook, se qualcuno intendesse azionare le clausole sopra riportate, si potrebbe sempre far ricorso alla magistratura per farne riconoscere l’invalidità in Italia, forse la cosa si ridimensiona, almeno per gli addetti ai lavori.

Riguardo all’aspetto ‘privacy’ ci sono poi molte altre cose da dire:prendiamo ad esempio il problema della conservazione dei propri dati, su server stranieri, anche dopo la richiesta di cancellazione da Facebook.
Ovviamente ci rendiamo conto di ciò solo dopo esserci iscritti e poi aver cercato di cancellarci definitivamente senza esito, e il rimedio non è poi così facile, anzi, per ora non se ne vede. Ricorrere al Garante della privacy non appare la soluzione.
Il trattamento dei dati in un paese come gli USA è fuori dalla portata della nostra Autorità per la tutela dei dati personali; si aggiunga a questo che su facebook non ci si finisce per caso, ma perché vi si fa esplicita e volontaria richiesta di iscrizione.

E’ anche vero che nella materia si può tranquillamente ricorrere all’Autorità Giudiziaria ordinaria, che al contrario del Garante Privacy ben può agire anche al di fuori dei confini nazionali. Diciamola tutta, dal punto di vista del diritto italiano Facebook è praticamente quasi totalmente fuorilegge, nel senso che la stragrande maggioranza della clausole che intenderebbe far accettare con un semplice “click” (comportamento espresso e non certamente sottoscrizione autografa) non sono valide nel nostro ordinamento.

Nessuno, quando i dati vengono raccolti, ci avverte della loro sorte, e tutto ciò che succede (e di cui sta iniziando ad occuparsi la cronaca), è cosa che accade ad iscrizione avvenuta, quando ormai i ‘buoi sono usciti dalla stalla’, per giungere in un Paese in cui la giurisdizione dei Garanti Europei non ha potere, ed i diritti da noi previsti e tutelati sono di fatto ‘mortificati’.

Altro aspetto inquietante è la ‘profilazione’ cui ogni iscritto a FB si espone.
Già di questo ha scritto Fabrizio Sigillò su queste pagine, evidenziando come il fenomeno ormai riguardi non una singola profilazione, ma addirittura la possibilità di aggregare profilazioni diverse e creare un ‘super profilo’ di cui l’iscritto è l’ultimo a venirne a conoscenza (se è fortunato), e quando accade, come ho già detto, ormai la ‘stalla è vuota’, ed è inutile chiuderla.

Un ulteriore aspetto che andrebbe considerato, è la circostanza che i contenuti di FB sono già oggetto di “smercio” da parte della criminalità organizzata (quella italiana, non quella straniera) che attraverso le informazioni che si posso acquisire con le “meta profilazioni” delle quali si è appena parlato organizza truffe e quant’altro possa venire in mente.
Un ulteriore problema (e parlo per esperienza professionale diretta) concerne in particolare specialmente il pubblico femminile; fenomeni riconducibili al c.d. “stalking” ovvero alla diffamazione o ad altri comportamenti diciamo non propriamente da “gentiluomini” sono sicuramente facilitati enormemente dalla gran massa di informazioni che vengono inserite in FB.
I servizi di c.d. “geotagging”, ovvero l’incrocio delle informazioni provenienti dall’indirizzo IP e dalle altre informazioni inserite in rete, non dico che possano facilitare i rapimenti, ma neppure servono al contrario.

Naturalmente FB non ha solo elementi negativi; ce ne sono anche di positivi, come la possibilità di incontrare e conoscere persone che altrimenti mai avremmo potuto avvicinare. Fare conoscenze e provare nuove esperienze conoscitive, condividere con altri i propri gusti, le proprie fantasie e anche le proprie conoscenze, sono tutti elementi positivi. Solo per fare un esempio concreto, un amico artista (pittore) mi parlava con entusiasmo della possibilità che ha di scambiare le sue vedute con altri artisti o critici, galleristi, che altrimenti non avrebbe mai potuto incontrare, viste le ‘barriere’ culturali e sociali che in certi ambienti vengono innalzate perché certi scambi culturali non avvengano anche per ovvi (ma non per questo giustificati) motivi economici.

Uno strumento non è mai negativo in sé e per sé, ma lo diventa per l’uso che se ne può fare.
Il caso FB è l’esempio di come più che limiti, censure e divieti, sia necessaria una corretta informazione preventiva, in modo che coloro che vi accedono, fin da subito, abbiano contezza di quello che li aspetta, dei pregi e dei difetti dello strumento, delle cose belle e dei pericoli per la loro identità.

Però bisogna essere realistici: pur con tutte le critiche che a FB si possono fare, aggiungendoci anche quella che (sempre che sia una cosa negativa) sarebbe uno strumento volto ad evidenziare l’ego delle persone, la propria voglia di apparire ed essere in qualunque modo al centro dell’attenzione, per sentirsi forse meno soli, non solo protagonisti; nonostante tutto, dicevo, occorre prendere coscienza che il liquidare FB come fenomeno negativo e quindi evitarlo, di per sé potrebbe essere un grave errore.

Io personalmente ritengo che per soddisfare il proprio ego siano più che sufficienti tutti gli altri mezzi che “internet” ci mette a disposizione e non vedo perché continuare ad utilizzare un “aggregatore” che porta più problemi che opportunità.
Non penso che sia negativo, è solamente inutile.

Non si capisce perché, ma nella società tecnologica oggi appare difficile fare previsioni, capire se il fenomeno avrà seguito o se tra poco tempo verrà sostituito da un altro; in ogni caso chiudere gli occhi su questa realtà è un comportamento che potrebbe avere gravi conseguenze; tuttavia una generale profilazione è un rischio reale.

La possibile soluzione? Forse soltanto accettare quello che è FB e provare nel nostro piccolo a sensibilizzare gli altri sui problemi che pone, senza demonizzare un fenomeno che comunque è in espansione. Come dire, se i buoi sono usciti e continuano ad uscire dalla stalla, inutile chiuderla, ma almeno cerchiamo di insegnargli a tornare quando vogliono, così che non ci sia bisogno di chiudere la porta, né prima né dopo, e l’uscita sia consapevole, e non comprometta la libertà di scegliere di tornare a casa, di scegliere cioè di riappropriarsi o di non compromettere in partenza la propria riservatezza.

Senza questa consapevolezza diventa inutile qualsiasi campagna informativa…(vedi http://www.youtube.com/watch?v=mJeKSdKq7iE) (PostaConLaTesta)…

Un ultimo consiglio concreto, chi è già iscritto, e si è già fatto profilare, aderisca a tutto, a tutti i gruppi, a quelli che gli piacciono e a quelli che non gli piacciono, diventi amico di tutti, politici che la pensano come lui e quelli di cui non condivide le idee; insomma, operi in modo da essere tutto ed il contrario di tutto, forse è l’unico modo per sfuggire al rischio che corre.

Personalmente non concordo totalmente con quanto sostiene Patrizio, ovvero più mi “linko” più confondo le idee; ha probabilmente ragione da un punto di vista pratico, ma io sono dell’opinione che come tutti i mezzi di comunicazione vada utilizzato con molta, molta cautela, proprio per evitare – poi – di piangere sul c.d. “latte versato”.
E’ un problema che si estende ovviamente non solamente a FB, ma a tutte le altre forme di aggregazione; a mio parere dovrebbe anche essere inserita una modifica nella normativa italiana (e se fosse accettata a livello internazionale non sarebbe che una cosa buona), ovvero la possibilità per il soggetto che si ritenga “offeso” in qualche modo da comportamenti non conformi alla normativa italiana di avere accesso semplice ed immediato alle informazioni concernenti tali attività, senza dover ricorrere ad artifici (vedi numeri in chiaro delle telefonate entranti ed uscenti, per fare un esempio). In questi casi la “privacy” non protegge il vero “interessato”, protegge la persona che nascondendosi vigliaccamente dietro lo pseudo anonimato di internet agisce pensando di non avere responsabilità alcuna.
Come ha scritto un nostro illustre collega, “Internet” deve essere libera, ma – aggiungo io – non deve essere vigliacca!

 

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